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Dal Sudafrica a Israele: le ragioni del boicottaggio

[Andria Pili]

Per gli Studenti contro il Technion il 2018 sarà un nuovo anno di lotta per chiedere la rottura degli accordi fra l’Università di Cagliari e gli atenei dello Stato d’Israele. Se prima vi era «soltanto» un accordo con il Technion – l’istituto tecnologico di Haifa che rappresenta al meglio il ruolo svolto dalle università sioniste nell’oppressione palestinese – dal 2016, anno in cui il gruppo si è costituito, UniCa ha stretto accordi di cooperazione con l’Università Ebraica di Gerusalemme e l’Oranim Academic College di Haifa. Inoltre, nuovi accordi si prevedono in futuro, vista la volontà espressa nell’incontro avvenuto lo scorso aprile tra una delegazione accademica e imprenditoriale israeliana e i rappresentanti di UniCa; sullo sfondo sta la probabile collaborazione su progetti di ricerca e innovazione sull’alta tecnologia militare, entro l’ambito creato dal Distretto AeroSpaziale Sardo, con il pieno supporto della classe politica sarda.

Non è chiaro se, nella mente dei fautori di questi accordi, giochi di più l’ignoranza sui crimini compiuti dallo Stato d’Israele o l’idea che il boicottaggio accademico non sia uno strumento adatto per sostenere l’emancipazione della Palestina. Sono comunque emblematiche le dichiarazioni che, nel febbraio scorso, il presidente della Regione Francesco Pigliaru – prorettore delegato per la ricerca scientifica di UniCa quando, nel 2011, l’ateneo siglò il primo accordo – rilasciò dopo l’incontro con l’ambasciatore israeliano a Roma. Per sostenere quanto collaborare con Israele fosse importante per la nostra isola, portò ad esempio anche le tecnologie applicate dai sionisti in agricoltura, al fine di aumentare la produttività dei terreni; al di là della qualità di tali metodi, è piuttosto noto quanto lo sviluppo agricolo israeliano sia avvenuto anche con la sottrazione, agli arabi, di terre e risorse idriche. Non si tratta, dunque, dell’argomento più eticamente corretto da portare in favore di un legame più stretto fra la Sardegna e lo Stato governato da Netanyahu.

Infatti, l’appropriazione delle terre arabe in favore di coloni ebrei – fenomeno in continua espansione in Cisgiordania e costitutivo dell’entità sionista – è uno degli elementi che consentono di definire come «apartheid» la politica che gli israeliani operano contro i palestinesi, una parte della pratica repressiva e discriminatoria volta a mantenere la dominazione di un gruppo etnico su un altro. Ciò è quanto sostenuto, ad esempio, da uno studio del sudafricano Human Science Research Council, il cui studio «Beyond Occupation: Apartheid, Colonialism and International Law in the Occupied Palestinian Territories» (2009) fa una comparazione fra le pratiche segregazioniste in Sudafrica e quelle attuali di Israele. La coautrice Virginia Tilley, politologa, ha sintetizzato tale analogia in tre pilastri: leggi che pongono la preservazione dell’identità ebraica a fine di legge, consentendo agli ebrei una condizione preferenziale rispetto ai non ebrei; una politica di frammentazione dei Territori Occupati volta a confinare i palestinesi entro delle riserve, appropriandosi delle terre di questi; restrizioni alla libertà dei palestinesi (opinione, associazione, movimento) allo scopo di esercitare un controllo su un intero gruppo etnico. Recentemente, anche i governi sudafricani, guidati dall’African National Congress, hanno più volte espresso la loro avversione alla politica di Israele, contigua agli atti dello Stato segregazionista che il loro movimento politico aveva combattuto (ad esempio, nel novembre 2009 il governo condannò l’approvazione di 900 unità di insediamento a Sud di Gerusalemme Est).

Mostrare le affinità tra Israele e Sudafrica è importante, dunque, per smuovere le coscienze di chi ancora ignora la condizione palestinese e quindi far notare quanto sia manifestamente immorale la collaborazione accademica di UniCa con lo Stato sionista. Per questo è significativo che, per rilanciare la lotta studentesca su questo fronte, gli ScT inizieranno proprio con un convegno sul ruolo del boicottaggio nella lotta contro l’apartheid sudafricano. Il movimento di solidarietà internazionale contro la segregazione razziale in Sudafrica nacque nel 1959 in Gran Bretagna e vide nel boicottaggio un importante mezzo per costringere i governi bianchi del Paese a porre fine a quella politica abominevole; nel 1965 cinquecento docenti universitari britannici scelsero di rifiutare le collaborazioni con le università sudafricane. Nel decennio successivo si ottenne l’importante risultato di escludere le selezioni rappresentanti del Paese razzista dalle competizioni sportive internazionali. Il relatore sarà il sociologo Salim Vally, già militante contro la segregazione razziale dei neri in Sudafrica, membro del comitato sudafricano di solidarietà con la Palestina e direttore del Centre for Education Rights dell’Università di Johannesburg. Nel 2008, è stato co-autore di un appello, firmato da 34 intellettuali e militanti sudafricani, contro la celebrazione del sessantesimo anniversario di fondazione dello Stato d’Israele.

In questo documento venivano elencati diversi elementi che, secondo gli autori, ricordavano il Sudafrica dominato dai bianchi: fondamento razziale dello Stato, tramite un concetto di nazione razzialmente escludente; i Territori Occupati come i bantustan in cui erano relegati i neri; i massacri e la prigionia politica; l’IDF sionista paragonato ai militari del SADF nelle città nere come esercito sionista nei territori occupati; l’espropriazione degli arabi dalle proprie terre in favore delle coltivazioni ebree. Lo studioso e attivista, illustrando le analogie fra l’attuale oppressione palestinese e il regime vigente nel suo Paese sino al 1994, farà comprendere l’importante contributo che il BDS (Boycott, Divestment, Sanctions Movement) può svolgere nel persuadere Israele a rispettare i diritti umani e il diritto internazionale. In numerosi articoli sulla questione, Vally ha sottolineato come la solidarietà internazionalista può essere l’unica arma contro Israele, vista l’indifferenza delle classi dirigenti mondiali e l’enorme sostegno che lo sviluppo tecnologico israeliano offre all’imperialismo; a suo parere, il boicottaggio esercitò una notevole pressione sul potere oligarchico bianco del Sudafrica, i cui membri tenevano in forte considerazione l’immagine che in Europa, propria terra d’origine, si aveva di loro. Da qui si può comprendere come il boicottaggio di Israele possa ribaltare l’idea egemone dello Stato sionista come «principale democrazia del Medio Oriente», infliggendo un duro colpo alla propaganda dei governi israeliani. Contro i pregiudizi sul boicottaggio accademico, Vally ha sempre evidenziato come esso, contro il Sudafrica, non ridusse la libertà accademica ma la estese stimolando l’elaborazione intellettuale e il confronto dialettico sulle lotte emancipative.

L’appuntamento è il 15 gennaio alle ore 17.00, Aula A, Facoltà di Scienze Economiche, Giuridiche e Politiche, via Sant’Ignazio da Laconi, 78 – Cagliari

11 gennaio 2018

Dal Sudafrica a Israele: le ragioni del boicottaggio