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IL FUTURO DELLA MEMORIA

IL FUTURO DELLA MEMORIA

Abbiamo lasciato Beirut nel cuore della notte di sabato e, dopo un giorno in viaggio, solo ora riesco a scrivere qualche riga per raccontare la commemorazione del massacro di circa 3500 persone perpetrato, durante l’occupazione israeliana di Beirut, dai falangisti cristiani, con la supervisione e la collaborazione fattiva dell’esercito israeliano (guidato da #ArielSharon) nel campo per profughə dalla Palestina di #SabraAndShatila, nei giorni dal 16 al 18 settembre del 1982.
Lo faccio partendo da una riflessione sulla memoria e su come la società palestinese faccia della pratica del suo mantenimento una missione irrinunciabile e caratterizzante della sua essenza. Prendo le mosse da un contrasto stridente racchiuso in un episodio che riguarda l’hotel dove alloggiavamo a Beirut: il Commodore, un vero e proprio pezzo di storia del giornalismo internazionale. L’albergo fu infatti, per buona parte della guerra civile, il luogo di residenza di giornalistə da tutto il mondo. Lo stesso Robert Fisk, corrispondente del Times di Londra che scrisse il famoso articolo “Ce lo dissero le mosche”, pur non avendo mai alloggiato al Commodore lo frequentava quotidianamente proprio perché solo da li si potevano trasmettere i reportage che hanno raccontato il conflitto e il massacro stesso.
La presenza della stampa internazionale in città disturbava moltissimo Israele che, secondo chi si occupa della questione, non aveva mai avuto una copertura mediatica così avversa prima del massacro e non la ebbe mai più dopo. D’altronde l’insofferenza di Israele nei confronti della stampa libera sembra essere una tradizione, se si pensa al recente bombardamento degli uffici dell’Associated Press e di Al Jazeera a Gaza nel 2021 (https://www.ilfattoquotidiano.it/…/israele…/6198660
), per non parlare dell’assassinio della giornalista #ShireenAbuAkleh, lo scorso 11 maggio (https://www.internazionale.it/…/abu-akleh-israele…
). Conoscendo la storia di questo luogo, ho pensato di chiedere ai dipendenti dell’albergo se mi potessero indicare le stanze che, il 13 agosto del 1983, vennero bombardate dal quadrante est della città, sotto il controllo dei falangisti appoggiati da Israele. Nessunə ha saputo rispondere, anzi, mi rispondevano che loro non lavoravano li nell’83, come se questo fosse una giustificazione inoppugnabile di questa inconsapevolezza. Nessun direttore dell’albergo ha pensato che questa informazione fosse degna di essere tramandata.
I MURI DI SABRA E SHATILA SANGUINANO ANCORA
Anche per illuminare il contrasto con l’atteggiamento dei e delle palestinesi nei confronti della memoria partirò da un episodio che fa parte delle commemorazioni per il massacro. A rappresentare i e le parenti delle vittime, e le persone sopravvissute alla carneficina, è stata invitata una ragazza poco più che ventenne, nata molto dopo il massacro.
Si è trattato di un intervento di grande forza, intriso di un coinvolgimento che è inequivocabilmente frutto dello sforzo continuo per il passaggio della memoria di generazione in generazione che le persone adulte compiono giornalmente.
“I muri di Sabra e Shatila sanguinano ancora, come i nostri cuori” ha detto la giovane attivista, “noi siamo cresciutə dentro questo massacro e l’eco delle voci dei martiri risuona ancora nelle nostre orecchie”. Ecco questa è la memoria viva di quanto è stato, una memoria attiva, che spinge all’azione e non è semplice ricordo. Non a caso questo discorso è sempre collegato con l’incessante riaffermazione del diritto di profughi e profughe di tornare ai propri villaggi in Palestina, alle case di cui in famiglia si conservano ancora le chiavi.
Il piccolo corteo che, dopo gli interventi ufficiali, si è snodato per alcune strade di Beirut per arrivare alla fossa comune nella quale sono raccolti i corpi martoriati delle vittime, confermava ancora una volta questa concezione della memoria viva e attiva. Moltissimə, in grande maggioranza, i/le giovani che lo animavano portando avanti le istanze di un popolo che non intende darsi per sconfitto e che combatte anche per noi una battaglia per la dignità umana, contro l’imperialismo e la sopraffazione di tutto quanto è bello, giusto, tenero e gioioso.
Per questo li e le voglio ringraziare. Qui solo a parole, ma come sempre, e per il futuro, portando avanti la nostra lotta comune contro la guerra e l’economia di guerra, contro l’imperialismo e per un nuovo sistema di relazioni internazionali.
Avanti insieme, Yalla!
Sardegna Palestina
Fawzi Ismail
Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila
Potere al Popolo – Cagliari
Potere al Popolo
Unione Popolare